IL MAESTRO DI CAPPELLA
Intermezzo in musica in un atto
Musica di Domenico Cimarosa
Libretto di autore sconosciuto
Il maestro di cappella
Gabriele Barria / Carlo Sgura
Paganini Junior Chamber Orchestra del Conservatorio “Niccolò Paganini” di Genova
IL CONTE UGOLINO
Cantata
Musica di Gaetano Donizetti
Testo di Dante Alighieri
Baritono
Gabriele Barria / Carlo Sgura
Pianoforte
Davide Cavalli / Mattia Torriglia
Il maestro di cappella è un intermezzo composto da Domenico Cimarosa attorno al 1790. Non si hanno fonti certe sulla data di composizione, così come sull’origine del libretto o sull’identità del librettista. Secondo un gusto comune per la satira dell’ambiente teatrale e musicale, il testo dipinge una rocambolesca prova d’orchestra in cui il personaggio unico, il maestro di cappella, cerca di dirigere l’ensemble strumentale nell’esecuzione di un’aria «di stil sublime». Benché il testo sia un monologo, è proprio con i professori d’orchestra e i loro strumenti che il maestro dialoga nel tentativo di raggiungere il suo obiettivo: emulare gli antichi maestri, coloro i quali erano capaci di esprimere davvero intenzioni e passioni attraverso la musica. Il pedante maestro cerca di gestire l’orchestra canticchiando le parti di ciascuno, poiché gli strumentisti non rispettano i rispettivi tempi di entrata, fino a che riuscirà a ottenere il risultato sperato. L’intermezzo è unico nel suo genere sia per la presenza di un solo personaggio, basso-baritono, sia per la struttura, che non si articola in arie e recitativi. È possibile che Cimarosa abbia composto Il maestro di cappella ampliando un’aria o una cantata comica realizzata in precedenza, riprendendo il tema a lui caro della satira teatrale, già approfondito nell’Impresario in angustie (1786).
Il conte Ugolino è una cantata che Gaetano Donizetti compose nel 1826, ispirato dal XXXIII Canto dell’Inferno di Dante. In precedenza, Nicola Antonio Zingarelli aveva già messo in musica lo stesso brano dantesco nella cantata per soprano e archi L’Ugolino, che Donizetti ascoltò probabilmente durante il suo soggiorno a Napoli. Nel celebre Canto, Dante ripercorre la truce storia del Conte Ugolino della Gherardesca, politico ghibellino dall’approccio tirannico al potere. Dopo essersi inimicato diverse famiglie influenti, il Conte venne tradito e imprigionato senza cibo né acqua insieme ai figli e ai nipoti. Nella lettura dantesca, il Conte racconta di aver assistito inerme alla morte dei quattro figlioletti. Con sottile ambiguità, Dante accenna a un possibile episodio di necrofagia del quale il Conte di sarebbe reso protagonista, senza però esplicitarlo: «Poscia, più che il dolor, poté il digiuno». Quando Dante incontra Ugolino, nel nono cerchio dell’Inferno, il Conte è immerso nelle acque ghiacciate del Cogito insieme agli altri traditori della patria, e sconta la sua pena divorando il cranio del suo principale nemico politico, l’arcivescovo Ruggeri degli Ubaldini. Nella sua cantata, Donizetti riprende passo passo il testo dantesco, conducendo la scrittura della linea vocale con uno stile declamatorio, adatto a far risaltare chiaramente ciascun verso. Anche la linea del pianoforte segue lo stesso principio, esaltando i momenti di maggiore pathos con un attento gioco di accentazioni e dinamiche.