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GI 02/03/2023 Ore 20:00 Biglietti non più disponibili
Dove:
Opera Carlo Felice Genova

Eroi e Imperatori

Daniel Oren alla guida dell’orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova per un concerto monumentale

LUDWIG VAN BEETHOVEN
Egmont Ouverture in fa minore op. 84

LUDWIG VAN BEETHOVEN
Concerto per pianoforte n. 5 in mi bemolle maggiore Imperatore op. 73

PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ
Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64

Pianoforte
Gabriele Carcano

Direttore
Daniel Oren

Orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova

Tra l’ottobre 1809 e il giugno 1810 Beethoven compose le musiche di scena per una rappresentazione viennese di Egmont, tragedia dai toni sturm und drang di Goethe incentrata sui temi dell’amore, dell’eroismo e della libertà nel quadro storico delle guerre di secessione dei Paesi Bassi. Si tratta di dieci brani, di cui la sola Ouverture ha sempre goduto di vasta popolarità. La composizione si snoda lungo tre assi portanti, corrispondenti ai tempi Sostenuto ma non troppo, Allegro e Allegro con brio. Il primo si fonda sulla opposizione di rudi accordi strappati degli archi, probabilmente il simbolo di un implacabile oppressore, e di dolenti voci dei fiati. Poco a poco questi ultimi si rapprendono in una figura musicale che, a lungo ripetuta, erompe nel successivo Allegro, corpo centrale della composizione, in un nobile ed espressivo tema discendente dei violoncelli che, progressione dopo progressione, sfocia in una proclamazione altissima di forza eroica. In quel mentre appariscono di nuovo i rudi accordi dell’oppressore che sembra avere la meglio. Ma quando l’eroe sta per soccombere, ecco soggiungere il terzo tempo, Allegro con brio, per dare slancio a un tema glorioso, energico, folgorante: nella morte l’eroe ha trovato la propria trasfigurazione e i suoi ideali d’amore e libertà.

Il Concerto n.5 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra Beethoven lo compose nel 1809. È pagina ampia e grandiosa che l’autore avrebbe voluto fosse intitolata Gran Concerto ma che l’editore battezzò “Imperatore”: appellativo indiscutibile, se non per l’allusione a Napoleone, perché imperiale ne è lo stile magniloquente, fiero, “definitivo”. Un poderoso accordo orchestrale troneggia quale incipit della composizione. Il solista risponde all’orchestra con una ampia serie di progressioni di semicrome, ripetute dopo gli altri due veementi “fortissimo” dell’orchestra. È questa una anticipazione della cadenza solistica che precede il primo tema, ampio e solenne, degli archi, seguito da una singolare seconda idea prodotta dai violini col supporto di viole, violoncelli e clarinetti. Nello sviluppo di tale materiale si notano le rigogliose figurazioni dei legni, stilemi “eroici” come la ripresa a tutta orchestra del secondo tema e la scrittura pianistica per ottave in successione, con estesa escursione delle mani e con una incisività ritmica di piena, sfacciata aggressività. Sorprendente giunge dunque il successivo Adagio un poco moto, un’immagine di dolce e serena elegia notturna. Un altro elemento di contrasto con l’enfasi retorica dell’Allegro viene dal lungo, sospeso, astratto fraseggiare della linea pianistica: una linea iridescente, lunare. Annunciato sommessamente dal pianoforte, il tema del Rondò ritorna al clima festoso del primo tempo. L’intonazione è ora umoristica, popolaresca. Il motivo centrale è formato da due frasi principali ed è segnato da un moto sincopato messo a contrasto da un’idea melodica discendente del solista, una sfumatura interrogativa. L’orchestra si gonfia di spessore fino alla esplosione appassionata della coda finale, con un intervento di estrema potenza del Solo che prelude al definitivo, stentoreo intervento del Tutti.

Dopo la Quarta sinfonia, Čajkovskij orienta la sua produzione musicale verso generi diversi, accrescendo la sua fama in tutt’Europa. A Lipsia aveva incontrato Grieg e udito la sua Sonata in do minore per violino e piano, opera che a suo dire gli propiziò il ritorno alla Sinfonia, dopo oltre dieci anni di silenzio. Nasceva così la Quinta, elaborata assiduamente nel 1888. Questa Sinfonia significava per Čajkovskij la trasposizione programmatica del proprio io, col ritorno simbolico della lotta col fato. Si coglie qui la perfetta radiografia dello stile e dello spirito ciaikovskiano, ove i conflitti interiori acquistano più capacità di comunicazione. Il tema del fato ritorna come Leitmotiv nei quattro movimenti, questo impiego ciclico non è inteso come pretesto di insistite apostrofi sonore, ma vale piuttosto come movente dialettico. Così, all’inizio della Sinfonia, il tema cupo e fatalistico trapassa nei due ben differenziati motivi dell’Allegro: marziale e vigoroso il primo, espansivo e dolce il secondo, fino alla chiusa appassionata e nobilmente desolata. Magnifica l’eloquenza dell’Andante, col primo tema che arieggia quello dell’Adagio della Nona beethoveniana e col secondo che è una delle perorazioni più intense del musicista. Spensierato ed elastico, strettamente imparentato con il clima del grande ballettismo, è il Valzer, mentre il Finale ripropone l’iniziale tema del fato, sviluppando poi una serie di motivi dolci e incalzanti, disposti con serrata logica di discorso. È proprio questa coerenza, capace di frenare la messe di proposte turbinose e fervide, che conferisce a questa Quinta la dignità di un riuscito esito sinfonico, forse il migliore di Čajkovskij.

Enrico Girardi




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