FRANZ JOSEPH HAYDN
Armida: Ouverture Hob. Ia:14
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Concerto per pianoforte e orchestra n. 20 in re minore K. 466
WOLFGANG AMADEUS MOZART
Concerto per pianoforte e orchestra n. 22
in mi bemolle maggiore K. 482
Direttore e solista
Alexander Lonquich
Orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova
Armida è stata l’opera di maggior successo composta da Haydn. Al servizio della corte degli Esterházy, il compositore vi si dedicò nel 1783 e l’opera andò in scena per la prima volta ad Eisenstadt il 26 febbraio 1784. Il principe Nicolaus ne fu particolarmente rapito, tanto da richiedere un numero impressionante di riprese, oltre cinquanta, negli anni successivi. Il soggetto è tratto dalla Gerusalemme liberata, la trama si evolve attorno ai tormenti emotivi della protagonista, la maga musulmana Armida, e di Rinaldo, eroe dell’esercito cristiano, che già avevano ispirato le omonime opere di Monteverdi, Lully, Vivaldi, Händel, Gluck, Salieri e altri ancora. Haydn è stato uno dei compositori che hanno maggiormente influito sullo sviluppo del genere sinfonia, anche nel contesto operistico è evidente la sua predisposizione alla scrittura orchestrale. L’orchestra ha infatti significativa importanza nei momenti di accompagnamento che si susseguono tra arie e recitativi, per emergere definitivamente nei brani interamente ad essa dedicati, ovvero l’ouverture e la scena iniziale del terzo atto. Con questa ouverture, il compositore unisce al suo ormai più che solido sinfonismo una vena spiccatamente drammatica, per risolve al meglio il ruolo introduttivo all’azione. Armida è stata spesso definita un’opera ‘riformata’, in riferimento alla riforma gluckiana dell’opera. Secondo Gluck, era fondamentale che l’ouverture fosse del tutto pertinente all’azione, ovvero che il contenuto musicale fosse impiegato esclusivamente per anticipare i temi e gli affetti che poi avrebbero definito il contenuto drammaturgico. Haydn segue di fatto questo principio, scrivendo un’ouverture che ha ragione di essere eseguita anche autonomamente, ma che trova la sua principale dimensione come parte di un’unità drammaturgica di grande impatto.
Il Concerto per pianoforte e orchestra K. 466 è stato composto da Mozart nel 1785. Il compositore si era ormai completamente affermato anche a Vienna, poteva quindi finalmente dedicarsi ad una ricerca molto più sperimentale e personale in tutti gli ambiti musicali. Il genere del concerto per pianoforte e orchestra era stato particolarmente congeniale all’introduzione del compositore al pubblico viennese, era infatti egli stesso ad esibirsi al pianoforte mostrando insieme il suo talento compositivo e il suo carisma da interprete. Il Concerto n. 20 ha avuto un ruolo singolarmente importante nello sviluppo di questo genere, esprimendo grandi innovazioni sia nella scrittura pianistica sia, in particolare, nel rapporto tra pianoforte e orchestra. Qui l’incipit in re minore dell’Allegro coglie già di sorpresa l’ascoltatore, abituato ad aperture in tonalità maggiori, a delineare un carattere di grande intensità e tragicità. È chiaro, sin dal primo movimento, quanto la dimensione d’insieme e quella solistica entrino in dialogo, talvolta anche in contrasto, come mai era successo prima, determinando un piano quasi drammaturgico. Questo tratto sarà di particolare ispirazione per Beethoven e per i compositori romantici, che spesso frequenteranno il genere del concerto per pianoforte e orchestra, via via sempre più popolare nel corso dell’Ottocento. Sarà Beethoven stesso, grande estimatore del Concerto n. 20, a scrivere una cadenza finale per l’Allegro, ormai diventata canonica. Il secondo movimento, una romanza, si distacca molto dal primo nella sua semplicità tematica, il tema è qui presentato dal pianoforte, e poi ripreso dall’insieme; rimane centrale il ‘botta e risposta’ tra pianoforte e orchestra, in questo caso attraverso una melodia lineare e dalla forte carica espressiva. Il Rondò riprende il carattere più sanguigno dell’Allegro, con un ritmo incalzante e una maggior tensione, che sfocia nella sezione Allegro assai in re maggiore, tonalità con cui Mozart sfodera un ulteriore e sorprendente contrasto finale. Il Concerto n. 22, K. 482 è stato composto nello stesso anno, a distanza di pochi mesi dal n. 20. In questo caso, non è l’intensità drammatica a prevalere; sia il primo sia il terzo movimento, ricchi di inventiva tematica e della continua contrapposizione tra Tutti e Solo, hanno una vivacità più solare. Al pianista è data ampia libertà, in molti passaggi il compositore lascia infatti carta bianca per l’introduzione di abbellimenti, arpeggi ed espressioni del più vario virtuosismo. Diversi critici ravvisano in questi due movimenti, Allegro e Rondò, una qual certa nostalgia per determinati stilemi che erano stati caratteristici della scrittura del primo Mozart, che il compositore sembra qui riprendere in una forma ora rinnovata. All’Andante viene affidato il momento di maggior tensione lirica. La forma è quella del tema con variazioni, la tonalità del tema è do minore, seguono quindi cinque variazioni che si allontanano anche molto dal tema originario, ed hanno tra di loro caratteri marcatamente diversi, per poi giungere alla coda conclusiva. Data la forma insolita, ma anche il contenuto così vario e sperimentale, fu con grande sorpresa che Mozart accolse la richiesta del pubblico di replicare proprio l’Andante, durante la prima esecuzione, avvenuta il 23 dicembre 1785.