ARNOLD SCHÖNBERG
Concerto per pianoforte e orchestra op. 42
GUSTAV MAHLER
Sinfonia n. 5 in do diesis minore
Pianoforte
Alessandro Taverna
Direttore
Fabio Luisi
Orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova
Lo Schönberg del primo decennio americano (1933-1942) è un compositore che, pur senza mai rinnegare l’avanguardia di cui era stato artefice (con l’introduzione della tecnica dapprima atonale e poi seriale), tende a uno sguardo retrospettivo. In particolare, si trovano nelle prime opere americane – tra le quali il Concerto per violino, la Suite per orchestra d’archi, l’Ode a Napoleone – tracce chiare dei suoi primi passi, quando esordiva in una Vienna ancora attraversata dalla temperie tardoromantica di Mahler, Schreker e del primo Strauss. Non fa eccezione il Concerto per pianoforte e orchestra op.42, pagina del ’42 densa nel linguaggio eppure fluida nel passo, che venne battezzata da Leopold Stokowsky a New York il 6 febbraio 1944, solista Eduard Steuermann.
La serie dodecafonica che sta alla base dell’opera è concepita in modo da creare un tessuto armonico che richiama, in modo ora più ora meno esplicito, il sistema tonale. Ne risulta un percorso espressivo che lo stesso Schönberg illustrò così, rifiutandosi però che la spiegazione fosse stampata sulla partitura: «La vita era così facile (Andante) – ma all’improvviso scoppiò l’odio (Molto allegro) –, si creò una grave situazione (Adagio) – tuttavia la vita continua (Giocoso). Tale percorso “emotivo” può essere naturalmente percepito e interpretato in modi differenti; nessun dubbio però sulla varietà di combinazioni messe in atto tra il solista e l’orchestra, sulla raffinatezza di un’orchestrazione che non lascia mai spazio alla retorica e sull’unità del disegno formale, garantita dall’incessante elaborazione dei motivi.
A differenza del Concerto per pianoforte di Schönberg, la Sinfonia n.5 in do diesis minore di Mahler, non reca alcun “programma”. Composta nel 1901-02 (ma ritoccata fino al 1911, anno della morte) ed eseguita per la prima volta a Colonia il 18 ottobre 1904, diretta dall’autore, è anzi la prima di un gruppo di tre Sinfonie esclusivamente strumentali, senza solisti o cori a dar voce a una strategia narrativa. Nelle lettere alla moglie, del resto, Mahler confidava di voler uscire dal soggettivismo delle opere precedenti per dare più spazio all’oggettività della forma. E in effetti, si ammira in questa pagina di oltre 70 minuti come il suo linguaggio armonicamente imprevedibile, intriso di wagnerismo ma già presago della stagione espressionistica a venire, si pieghi in tutti e cinque i movimenti alle strutture della tradizione: dalla forma-sonata al corale, dalla forma-Lied allo Scherzo che, collocato al centro di questo universo, rappresenta il momento assiale, destinato a separare tra loro i distinti blocchi dei primi due tempi e degli ultimi due.
In questo processo, qui più esplicito che nelle due Sinfonie a venire, si tocca con mano non a caso una sorta di ottimismo, dato proprio dal piacere della costruzione. Ciò nulla toglie al profondo grado di espressività di questa musica, ravvisabile non solo nel celebre Adagietto – il cui “decadentismo” viene più dall’uso cinematografico che ne fece Visconti in Morte a Venezia che non dalla musica in quanto tale – ma anche soprattutto dall’ordine dei materiali, che sfocia con naturalezza nella solenne fanfara conclusiva.
Non di meno, ecco apparire in questo percorso, a suo modo soleggiato, le ombre di una desolazione tutta mahleriana, specie là dove si respira il clima dei coevi Kindertotenlieder (Canti dei bambini morti), di Revelge (Sveglia) e Der Tambourg’sell (Il tamburino): questi ultimi due Lieder non a caso pubblicati insieme con altri 5 su testi di Rückert nella raccolta Sieben Lieder (7 Lieder), dove trova spazio anche Ich ben der Welt abhanden gekommen (Sono perduto al mondo) il canto citato esplicitamente nell’Adagietto.
Enrico Girardi