LUDWIG VAN BEETHOVEN
Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in do minore op. 37
HECTOR BERLIOZ
Symphonie fantastique op.14
Pianoforte
Nicolò Ferdinando Cafaro
(vincitore Premio Venezia 2022)
Direttore
Donato Renzetti
Orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova
Beethoven iniziò a scrivere il suo terzo concerto per pianoforte e orchestra sul finire del ‘700, per sviluppare a pieno la composizione tra il 1800 e il 1802. La prima esecuzione si tenne a Vienna nel 1803, con Beethoven stesso come solista al pianoforte. Anche dopo la prima esecuzione, il compositore continuò ad apportare modifiche, tant’è che la parte solistica non venne messa in partitura sino alla pubblicazione per Bureau des Arts et d’Industrie nel 1804.
Ciò che ha reso quasi immediatamente famosissimo il terzo concerto è l’incredibile risultato che Beethoven ottenne riunendo in un solo brano tre aspetti fondamentali del suo percorso artistico che avrebbero in seguito influenzato enormemente la scuola romantica. Il primo è una concezione più sinfonica della forma concerto, che deriva dalla ricerca del compositore attorno alla scrittura orchestrale (tra il 1802 e il 1804 Beethoven lavorava anche alla sua terza sinfonia, l’Eroica). Il secondo è l’ulteriore ampliamento delle possibilità espressive del pianoforte, strumento che deve moltissimo alla scrittura di Beethoven, il quale influenzò la storia del pianoforte non solo da un punto di vista compositivo-artistico, ma anche da un punto di vista tecnico-meccanico. Il terzo è l’importanza della dimensione dialogica, e per la precisione di un dialogo tra orchestra e solista che si svolge alla pari; in questo caso l’esperienza cameristica di Beethoven ha avuto grandissima importanza, ed è proprio da composizioni di tale natura che nasce questa impostazione (ne sono splendido esempio le sonate per violino e pianoforte, proprio nel 1802 Beethoven iniziava a scrivere la Sonata a Kreutzer).
Il concerto si apre con un Allegro con brio in do minore, dal carattere assertivo e incisivo, e mette sin dal principio in luce il senso di un dialogo tra pari, in cui pianoforte e orchestra sono perfettamente allineati e al contempo distinti nella propria dimensione sonora. Ciò che rende particolarmente ‘assertivo’ questo movimento è l’assenza di elementi decorativi, in favore di una quasi totalizzante affermazione tematica. Il Largo in mi maggiore ha tratti più romantici e trasporta il dialogo su un piano di maggior lirismo, qui le parti si riprendono e riecheggiano a vicenda annullando la tensione vibrante che invece funge da forza propulsiva così al primo come al terzo movimento. Il Rondò finale riprende il do minore iniziale, con una marcata vena umoristica. Esso è il luogo di maggior virtuosismo pianistico, a tratti quasi sperimentale. Orchestra e pianoforte sostengono vivacemente l’uno la forza espressiva dell’altro in una manifestazione intensa e gioiosa.
Con la Symphonie fantastique, composta nei primi mesi del 1830 ed eseguita per la prima volta il 5 dicembre dello stesso anno, Berlioz si propone di concretizzare finalmente il progetto immaginato da tempo di «un’immensa composizione strumentale d’un genere nuovo». In quanto compositore romantico in senso stretto, Berlioz asseconda un forte impulso emotivo che nasce dal proprio vissuto, in particolare dalla tormentata passione per l’attrice irlandese Harriet Smithson. Di fronte al rifiuto di lei, Berlioz trova conforto solo nella creazione artistica, che risente fortemente dei riferimenti letterari cari al compositore quali Shakespeare (autore interpretato proprio dalla Smithson a Parigi), e di Chateaubriand.
Berlioz decide di recuperare diverso materiale da lui composto in passato e mai concluso o mai pubblicato. Due sono gli elementi centrali nel complicato processo di rielaborazione e unificazione dei materiali: da un lato l’utilizzo di un tema ricorrente che prende il nome di idée fixe (si tratta di un vero e proprio predecessore del Leitmotiv, e rappresenta già da sola una grande innovazione), continuamente ripreso e variato in base alle diverse situazioni sonore e affettive. Dall’altro la scelta di introdurre un programma che si riassume nel sottotitolo Episodio della vita di un artista, e rende continuità al racconto musicale. Il programma è incentrato sull’innamoramento e sulla delusione amorosa di un artista, che rifugiatosi nell’oppio rivive il proprio sentimento in una dimensione onirica e ‘fantastica’. Se da un lato Berlioz non abbandona gli stilemi e la struttura della sinfonia classica, dall’altro la cifra innovativa si trova proprio nella presenza di un programma di natura non musicale che va a determinare nel profondo aspetti invece puramente musicali. Il programma determina l’introduzione e il significato dell’idea fissa – motivo tematico che rappresenta l’amata – determina il carattere di ciascun movimento, la scrittura e le singolari scelte di organico. La Sinfonia fantastica influisce enormemente sullo sviluppo della musica sinfonica ottocentesca, anticipando la nascita e il grande successo del genere del poema sinfonico che avrebbe visto di lì a pochi decenni una vastissima diffusione. Non è solo sul piano musicale che Berlioz incarna i tratti dell’artista romantico, il romanticismo è l’assioma fondamentale del suo approccio all’arte quanto alla vita – anche se è naturalmente difficile scindere, in questo caso, l’una dall’altra.
Ludovica Gelpi
Il programma della Symphonie fantastique è stato più volte modificato da Berlioz nel corso degli anni, qui di seguito è riportata la versione pubblicata nel 1845:
«Prima parte. Sogni, passioni. L’autore suppone che un giovane musicista, affetto da quel male morale che uno scrittore celebre chiama il vuoto delle passioni, scorga per la prima volta una donna che riunisce tutti i fascini dell’essere ideale sognato dalla sua immaginazione, e se ne innamori perdutamente. Per una insolita bizzarria, l’immagine amata non si presenta mai allo spirito dell’artista se non legata a un pensiero musicale, nel quale egli ritrova un certo carattere appassionato, ma nobile e timido come quello ch’egli attribuisce alla persona amata. Tale riflesso melodico e il suo modello lo perseguitano senza posa come una doppia idea fissa. Donde l’apparizione costante, in tutti i pezzi della sinfonia, della melodia che dà inizio al primo Allegro. Il passaggio da tale stato di malinconica disposizione al sogno, interrotto da qualche accesso di gioia senza motivo, a quello d’una passione delirante, con i suoi moti di furore, di gelosia, i ritorni di tenerezza, le lacrime, le consolazioni della fede, è l’argomento del primo brano.
Seconda parte. Un ballo. L’artista è condotto attraverso le circostanze più diverse della vita, in mezzo al tumulto d’una festa, nella pacifica contemplazione delle bellezze della natura; ma ovunque, in città, nei campi, l’immagine cara viene a presentarglisi tubandone l’animo.
Terza parte. Scena nei campi. Una sera, trovandosi in campagna, egli ode da lontano due pastori che si scambiano un ranz des vaches; questo duo pastorale, il luogo, il leggero brusio degli alberi dolcemente agitati dal vento, alcuni motivi di speranza che egli ha concepito da poco, tutto concorre a rendere al suo cuore una calma insolita e a dare alle sue idee un colore più lieto. Riflette sulla sua solitudine; spera presto di non dover più esser solo… Ma se ella lo tradisse!… Questa miscela di speranza e timore, queste idee di felicità turbate da alcuni neri presentimenti, formano l’argomento dell’Adagio. Alla fine uno dei pastori riprende il ranz des vaches; l’altro non gli replica più… Rumore lontano di tuono… solitudine… silenzio…
Quarta parte. Marcia al supplizio. Raggiunta la certezza che il suo amore sia respinto, l’artista si avvelena con l’oppio. La dose del narcotico, troppo debole per dargli la morte, lo piomba in un sonno accompagnato dalle visioni più orribili. Sogna d’aver ucciso l’amata, d’esser condannato, condotto al supplizio, e d’assistere alla sua stessa esecuzione. Il corteo s’avanza al suono di una marcia ora cupa e selvaggia, ora brillante e solenne, in cui un sordo rumore di passi pesanti succede d’improvviso alle esplosioni più violente. Alla fine della marcia, le prime quattro misure dell’idèe fixe tornano, come un ultimo pensiero d’amore interrotto dal colpo fatale.
Quinta parte. Sogno di una notte del Sabba. Egli si vede al Sabba, in mezzo a una schiera orribile d’ombre, di mostri d’ogni sorta riuniti per le sue esequie. Strani rumori, gemiti, scoppi di risa, grida lontane cui paiono rispondere altre grida. La melodia amata ricompare, ma ha perduto ogni carattere di nobiltà e di timidezza; non è più che un ignobile motivo di danza, triviale e grottesco; è lei che giunge al Sabba… Ruggito di gioia al suo arrivo… Ella si mesce all’orgia diabolica… Rintocchi funebri, parodia grottesca del Dies irae. Ronda del Sabba. La ronda del Sabba e il Dies irae insieme».