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DO 31/12/2023 Ore 17:00 Biglietti non più disponibili
Dove:
Opera Carlo Felice Genova

Durata:
Prima parte: 30 minuti
Intervallo: 20 minuti
Seconda parte: 45 minuti
Durata complessiva 1 ora e 35 minuti

BRAHMS e HAYDN

Hartmut Haenchen dirige l’Orchestra dell’Opera Carlo Felice di Genova

JOHANNES BRAHMS
Serenata n. 2 in la maggiore op. 16 (1875)

JOHANNES BRAHMS
Variazioni in si bemolle maggiore op. 56a su un tema dal Chorale S. Antonii della Feldparthie di Franz Joseph Haydn

FRANZ JOSEPH HAYDN
Sinfonia n. 95 in do minore Hob:I:95

Direttore Hartmut Haenchen

Orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova

Diversamente che nel caso delle opere per pianoforte e da camera, verso le quali dimostrò un’immediata consapevolezza operativa, Brahms ebbe un approccio assai più lento e meditato nei confronti del medium orchestrale. Lo dimostra bene la lunga, complessa gestazione della Sinfonia n.1. Fatto sta che fino al 1876, quando egli consegnò finalmente alle stampe la Prima, il catalogo delle composizioni con orchestra del musicista di Amburgo si limitava a poche cose. Tra queste ultime, oltre a pagine di alto valore ma di natura particolare come il Requiem tedesco e il Concerto n.1 per pianoforte, sono le Serenate opp.11 e 16 e le Variazioni su un tema di Haydn op.56a: pagine del tutto compiute, si intende, ma che condividono la loro funzione di “Studio” dello strumento orchestra in quanto tale.
Le Serenate furono composte nel 1858-59 a Detmold, cittadina dove si esibiva un’orchestra di ottima qualità. Brahms decise di mettersi alla prova in un genere nobile ma non troppo impegnativo dal punto di vista concettuale. Mentre la Serenata n.1 nacque come elaborazione di un materiale originariamente pensato per un nonetto di fiati, la n.2 fu direttamente progettata per l’orchestra, sia pure in una conformazione inusuale comprendente fiati, viole, violoncelli e contrabbassi ma priva di violini. Ispirata al modello che si ravvisa nei mirabili esempi mozartiani, vanta la particolarità di possedere 5 anziché 6 movimenti. Tre di essi, lo Scherzo, il Minuetto e il Rondò finale sono tempi di danza dal tono leggero e popolaresco. Più compositi risultano invece l’Allegro moderato iniziale (una forma-sonata con tre temi dal fine intreccio contrappuntistico) e lo “schubertiano” Adagio non troppo, pagina di squisito lirismo e di rotonda cantabilità. Diretta dallo stesso Brahms, la prima ebbe luogo ad Amburgo il 10 febbraio 1860.

Le Variazioni su un tema di Haydn, composte nell’estate 1873, sono considerate la prima ampia composizione per orchestra di Brahms. Il battesimo pubblico del pezzo, dapprima presentato in forma privata a Clara Schumann nella sua versione per due pianoforti (op.56b), ebbe luogo il 2 novembre 1873 presso la Gesellschaft di Vienna, diretta dallo stesso Brahms, ed ebbe un’accoglienza entusiastica.
Il brano è costituito dall’esposizione del tema, da otto variazioni e da un ampio Finale. Il tema non è di Haydn (si tratta di un vecchio corale “di marcia” di pellegrini), ma l’attribuzione al compositore austriaco si giustifica per averlo questi citato in un Divertimento per fiati e alla conseguente convinzione dell’amburghese circa la paternità. Il tema si presenta suddiviso in gruppi irregolari di 5+5+4+4+4+7 battute, dotati però di notevole coesione interna. L’adattabilità del tema al trattamento per varianti è determinata dalla condotta chiara e lineare del basso. Le otto variazioni alternano: passaggi da modo maggiore e minore, ornamenti melodici, diminuzioni e aumentazioni ritmiche, scambi e abbellimenti orchestrali, amplificazioni di singoli frammenti del tema, modificazione costante dai tempi e dei metri. Nel Finale, le prime 5 misure del basso costituiscono l’ostinato sopra cui si organizza una poderosa Passacaglia, destinata a sfociare in un grandioso episodio fugato.

Scomparso nel 1790 il principe Nicola, Haydn lasciò il proprio trentennale ruolo di Kappelmeister presso la corte degli Esterházy per dirigersi, non dopo un ultimo saluto a Mozart, a Londra dove, su invito di un impresario, avrebbe composto le sue ultime 12 Sinfonie, dette appunto le “londinesi”, pubblicate le prime 6 (nn.93-98) nel 1791-93, le altre 6 (nn.99-104) nel 1793-95. Questo corpus costituisce a tutti gli effetti l’anello di congiunzione tra il sinfonismo classico di Mozart (le cui ultime tre Sinfonie rappresentano l’estrema sintesi) e quello di Beethoven. Peculiarità delle “londinesi” è la tendenza a rinunciare agli elementi descrittivi delle Sinfonie precedenti per caratterizzare i quattro tempi, ciascuno dotato di un suo carattere “morale”, come diversi facce di un’unica, misteriosa unità. La Sinfonia n.95 in do minore è l’unica delle 12 che non inizia con una introduzione lenta ma in medias res, con la perentoria esposizione del primo tema, assai gagliardo, cui ne seguono due dal carattere rispettivamente lirico e sbarazzino. Nel successivo Andante cantabile il violoncello ha un ruolo preminente, quasi da solista, poiché conduce il discorso in un percorso aggraziato ma non privo di malinconia. Dopo un rustico Scherzo & Trio (dove domina ancora il violoncello), ecco chiudere il discorso un Finale agile e scattante destinato a sfociare in elaborazioni fugate di notevole interesse armonico e in una coda travolgente in modo maggiore.

Enrico Girardi

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