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SA 02/12/2023 Ore 21:00 Biglietti non più disponibili
Dove:
Basilica dei Santi Gervasio e Protasio, Rapallo (GE)

Biglietti:
Ingresso gratuito con biglietto presso la sede del concerto

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Mozart l’italiano

Mattia Rondelli sul podio con l’orchestra dell’Opera Carlo Felice. Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart e Giuseppe Sarti

WOLFGANG AMADEUS MOZART
Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore K. 22

GIUSEPPE SARTI
Domine Deus da Gloria
Sinfonia da La sconfitta de’ Cananei
(prima esecuzione in tempi moderni)
Sull’altare del Suo sdegno da La sconfitta de’ Cananei
(prima esecuzione in tempi moderni)

WOLFGANG AMADEUS MOZART
Sinfonia n. 27 in sol maggiore K. 199
Fra le oscure ombre funeste da Davide Penitente K. 469
Et incarnatus est dalla Messa in do minore K. 427
Sinfonia n. 24 si bemolle maggiore K. 182

Soprano
Barbara Massaro

Direttore
Mattia Rondelli

Orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova

Giuseppe Sarti (Faenza 1729 – Berlino 1802) è stato un compositore, un operista, di fama quasi ineguagliata e di riferimento in tutta l’Europa di fine ‘700. Haydn interruppe una propria rappresentazione per salutarlo pubblicamente e l’imperatore a Vienna gli dedicò un ricevimento ufficiale. Era stato allievo prediletto dei migliori insegnanti del tempo, p. Vallotti e p. Martini (mentore anche del giovane Mozart), aveva ricoperto incarichi prestigiosi come dirigere il coro della Chiesa della Pietà a Venezia, qualche anno dopo Vivaldi, essere stato Maestro di Cappella del Duomo di Milano e, ancor prima, Maestro del Teatro dell’Opera italiana presso la corona Danese (si pensi che tempi: una testa coronata pretese che la propria corte non limitasse la vita musicale alla propria Cappella musicale, ma sentiva allora la necessità di offrire al proprio Paese un teatro d’opera, e italiana!). Le sue partiture erano messe a stampa e tradotte in lingue diverse nell’arco di pochi mesi. Tutto questa era prova di un indubbio e conclamato successo eppure Sarti, benché emblema evidente dell’arte e della cultura italica, appartiene a quel gruppo di compositori, assieme a Viotti o Boccherini, tra gli altri, negletti poi alla storiografia musicale che da allora è arrivata ai giorni nostri. L’essere italiani significava appartenere a una cultura imperante, nel mondo musicale di quel periodo: anche all’Opera di Vienna si parlava l’italiano, i maestri di cappella più ambiti e di successo erano italiani, ma sussisteva la discrepanza tra l’appartenenza a una cultura millenaria e di riferimento, e il fatto di essere italiani prima, ahimé, che l’Italia fosse.
Il caso di Sarti è tra i più paradossali perché se in Russia, dove ha passato gli ultimi decenni della sua vita alla corte di Caterina II, è ancora considerato il padre antesignano della loro scuola nazionale, nella sua Europa “occidentale” la sua notorietà, peraltro scarna, è dovuta, per lo più, alla citazione “letterale” che Mozart ne fa nel proprio Don Giovanni: «Evvivano i Litiganti». Ma quella citazione non era né un caso né un mero riconoscimento di fama, era una sorta di ringraziamento a quel compositore che tanto stimava, come il giovane Amadé scrive al padre, e la cui opera Fra i due litiganti il terzo gode, commissionata dalla Scala nel 1782, ossia tre anni prima delle Nozze e cinque di Don Giovanni, aveva riscosso talmente successo a Vienna da aver più che inspirato lo stesso genio salisburghese. La trama, le armonie, alcuni temi, la vocalità e i concertati delle opere di Sarti non erano certo sconosciute al compositore dei capolavori su menzionati, e forse si può parlare di un vero piccolo Mozart italiano questi dovrebbe essere proprio il nostro faentino.

Il programma di questo appuntamento con il ciclo sinfonico Mozart l’italiano non vuole fare confronti ma mettere a disposizione del pubblico capolavori mozartiani, di solito poco frequentati, ad eccezione dell’Assoluto categorico dell’Et incarnatus, tratto dalla Messa in do minore K. 427, e alcuni esempi della stesura sacra di Giuseppe Sarti.

Il Gloria, probabilmente scritto nel 1787 per la chiesa cattolica di San Pietroburgo,è una composizione in cui si alterna lo stile severo del contrappunto accademico nei cori, alla cantabilità tipicamente italiana e libera, quasi operistica oserei dire, nelle “arie” come il Domine Deus che sarà eseguito.
Molto peculiare è stata la riscoperta dell’Oratorio La Sconfitta de’ Cananei (Roma 1766). In quegli anni Sarti era direttore del teatro d’opera italiana presso la Corte di Danimarca, e fu inviato in Italia alla ricerca di nuove voci. La sinossi dell’oratorio è quella del fatto biblico in cui la profetessa Deborah premonisce al generale israelitico Barach che Israele sarà vincitore della guerra ai Cananei per mano di donna non ebrea: Giaele, la quale riconoscendo in Sisara, capo dei Cananei, l’emblema del Male, lo ucciderà dopo averlo accolto nella propria tenda. Inimmaginabile è la modernità della scrittura musicale antesignana dello stile cosiddetto classico che si sarebbe affermato da lì a qualche decennio, forte è l’impatto emotivo grazie ad arditezze strumentali, armoniche ed ai virtuosismi vocali inaspettati e imprevedibili. Si tratta di una vera e propria rarità, non solo perché ne viene eseguita in questa occasione una minima parte dopo qualche secolo, ma anche per il fatto che in quei decenni a Roma si proibiva la messa in musica di testi dell’Antico Testamento: è verosimile supporre che ciò fu invece possibile perché il libretto riprende il Canto di Deborah, tratto dal libro dei Giudici, da sempre considerato un momento di alta poesia nonché uno dei primissimi esempi di poesia ebraica. Si accoglieva cioè l’idea Illuminista di Rousseau secondo cui la Poesia è il mezzo per il raggiungimento del Vero, che in questo caso si sintetizza nella prevalenza del volere di Dio sul Male. Il racconto, dunque, non indugia sull’uccisione di un uomo stanco e per giunta ospite, fatto in se stesso moralmente riprovevole. Il messaggio del racconto tipicamente poetico evidenzia che Giaele realizza la profezia di Debora: Dio libera il popolo e lo fa non con l’apporto dell’esercito e del suo generale, ma attraverso le mani di una donna pacifica e disponibile a Dio, nel coro finale assimilata, per missione, a Maria. Ecco, dunque, che non solo fu possibile farne stesura, ma si creò una rara opportunità di incontro alto e proficuo con la cultura giudaica. Lo stesso episodio biblico è ricordato da Alessandro Manzoni nell’ode marzo 1821, ove il poeta con riferimento a Dio scrive: «quel che in pugno alla maschia Giaele / pose il maglio ed il colpo guidò».
Scritto nel 1766, a soli 16 anni dalla morte di Bach, questo oratorio ha lasciato un segno quasi di avanguardia e ha riscosso consensi di certo fino agli anni ’80, a cui risalgono alcuni libretti ritrovati, stampati a Monaco di Baviera. L’aria di Jaele, che si eseguirà nell’impaginato di oggi, evidenzia le difficoltà tecniche che Sarti richiedeva ai cantanti, ma è emblematica anche di quella sprezzatura e di quei colori drammatici così forti che lasciano facilmente disegnare all’immaginazione dell’ascoltatore i tratti di una scena che non c’è. Nella forma tipica dell’aria – ABA – la parte centrale, più lenta, in cui il libretto richiama la departita dell’anima di Sisara, i cromatismi, la successione armonica, il tactus ritmico e le dissonanze richiamano qualcosa di, certamente, più familiare; non ho alcuna prova per collegare le due scene, ma giustapposta la morte del Commendatore dongiovannesco a quella di Sisara, le casualità e le lontanissime similitudini sembrano trovare un fil rouge.
Da ultima, ma non da meno, la Sinfonia dell’oratorio, in do maggiore, tripartita, marziale nel suo incipit e di grande brillantezza nel finale, si è scoperto non essere stata scritta per l’oratorio, ma è stata “presa in prestito”, dall’opera La Nitteti che lo stesso Sarti aveva composto l’anno prima a Venezia per il Teatro S. Benedetto. D’altro canto, la Sinfonia, come genere, nasce in quegli anni e, benché molti compositori e molti luoghi ne vantino la paternità, su tutti il milanesissimo Sammartini, si sa che quella forma musicale era già presente in tutta Europa e atta a introdurre opere più complesse. Generalmente scritte in tre movimenti, si era soliti distinguerle tra sinfonie da camera, ossia da concerto, da opera o da chiesa.
Le stesse sinfonie mozartiane che verranno eseguite in questo programma sono figlie di quei tempi e di quelle consuetudini: inevitabile il condizionamento anche del giovanissimo Mozart rispetto al panorama musicale in cui veniva cresciuto. Anche esse sul piano formale sono tripartite, e le analogie strutturali e ritmiche tra l’una e l’altra fanno indubbiamente pensare a un pattern formale noto e condiviso.
Le diverse notizie e informazioni sulle primissime sinfonie che Mozart avrebbe scritto a Londra, bambino tra il 1764 e il 1765, e che sono andate perdute, fanno presagire di una sinfonia in do maggiore, forse ad imitazione di Johann Christian Bach, con una scansione ritmica molto militaresca. Sarà solo un caso, ma anche la Sinfonia de La Nitteti, prestata ai Cananei, rispecchia quella tonalità e quelle caratteristiche… è bello sognare che la stima di Mozart per Sarti fosse cominciata prima delle più note vicissitudini.

Mattia Rondelli

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